domenica 13 ottobre 2013

Non opprimere i figli con l'idea della scuola (di Natalia Ginzburg)


Non opprimere i figli con l'idea della scuola (di Natalia Ginzburg)
 
Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un'importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.
Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un'offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni.

In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi.

I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti.

Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell'orgoglio, frustrati d'una soddisfazione.

Se il meglio del loro ingegno non hanno l'aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti.

Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati in un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'impegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito.

Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell'insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi domani.

Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l'amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d'attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?

(Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, pubblicato originariamente su "Nuovi Argomenti" nel 1960)


lunedì 7 ottobre 2013

Non c'è alcun codice morale che ci impedisce di fermare l'orologio.

Gian Marco Gregari, Psicologo presso il Centro Psico-Sociale, Ospedale S. Paolo, Milano


Ansia, il disturbo della modernità.
Reagire è possibile?

Preoccupazioni, stanchezza, irritabilità... questi sono alcuni dei problemi causati dall'incalzante ritmo di vita che ci allontana sempre di più da tempi e modi di vivere più naturali e a misura d'uomo. Un antidoto, però, esiste: basta rallentare.
La fretta di vivere, le condizioni ambientali che stanno soffocando la qualità della nostra vita sono elementi costanti della vita quotidiana. Sembra che l'individuo e la società abbiano firmato una dichiarazione di guerra alla natura, soprattutto quella umana. I pasti e le cene si atrofizzano, così come il linguaggio e la comunicazione.

Ed ecco che subdolamente arriva l'ansia.... presentandosi prima sul cuore, con palpitazioni, poi alterando la sudorazione e infine si infiltra sulla nostra concentrazione influendo sulle capacità di scelta, nonché sul metabolismo.

Difficoltà a controllare l'eccessiva preoccupazione, irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni, vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazione del sonno, sono soltanto alcuni di una lunga lista di sintomi che ormai fanno parte della nostra normalità. Sotto questo punto di vista l'ansia può essere considerata la malattia dell'ultimo ventennio, una sorta di cancro che fa vivere con la sensazione che il nostro futuro non possa consentirci un minimo di certezza.

Cosa possiamo fare? C'è ancora un margine per non farsi prendere da questo vortice distruttivo?

Combattere l'ansia vuol dire fare un passo indietro per ritrovare le componenti ambientali che col tempo si vanno perdendo. Significa ritrovare sinergia con la natura, ammirare il silenzio, svuotare la psiche dalle nostre paure. Si tratta di una e vera e propria sospensione dell'accumulo di energia negativa che ogni giorno sentiamo in noi.
E' vero anche, che il farmaco, che sia Valium o Xanax può avere un effetto immediato, ma nello stesso tempo sappiamo che il sintomo sta a monte.

Curare l'ansia alla base, implica un processo di prevenzione, primo fra tutti il rallentamento delle nostre pratiche di vita, come se mollassimo l'acceleratore della nostra automobile e decidessimo di guidare in terza corsia, definitivamente e sempre.

Ascoltare buona musica, mantenere il nostro fisico allenato, mangiare con moderazione, usare meno l'automobile, spegnere il cellulare, sdraiarsi, chiudere gli occhi e pensare che l'Ansia la si soffre per quello che facciamo, per quello che spesso gli altri vogliono che siamo e per la non accettazione di noi stessi e della nostra genuinità !

Lasciamo che le dipendenze non ci soffochino, allontaniamoci dagli eccessi usati come compensazione delle nostre preoccupazioni, una completa rinuncia alla condizione di soffocamento, in quanto non c'è alcun codice morale che ci impedisce di fermare l'orologio.